sabato 9 luglio 2011

#10

  ΧΑΡΙΕΙΝ

Quando ero un giunco di vetro, quando ero vento, azzurre le labbra
per il freddo, esametri di brina e ragnatele mi ricamavano il corpo,
quando ero morta, e amavo Apollo, statua di marmo rosa dall'edera.
Occhi di specchio un milione di volte vomitarono quell'immagine,
feto del mio nome, inchiodato nel silenzio da lancette immobili.

In ogni respiro rubato/ ti cercavo.

Mi dissero anche di non saper amare, di essere donna senza sangue
senza sangue tu capisci queste parole di piombo che squarci larghi
quante convulsioni e malattie inguaribili distillano direttamente in vena.
Furono baccanali e danze a vuoto, deserti, notti gonfie di carne,
di mani, sudore, l'eco ubriaca di uomini già spariti, di fantasmi vivi.

In ogni respiro rubato/ ti cercavo.

Quindi credimi, mio mare all'alba api di luce su seta stesa, finalmente
quando ti ho trovato, acqua dolce acqua salata un tuffo lungo secoli,
ho pensato che anche soltanto un istante, un frammento di sabbia, un attimo
impercettibile che avesse l'odore di noi due mescolati mi sarebbe bastato,
per l'infinito tempo a venire, imperscrutabile viaggio naufragio o approdo.

In ogni respiro raccolto/ fiorisce il tuo nome papaveri e orzo.

Ora, senti, siamo un maggio di robinie bianchissimi orgasmi,
foglie tra i capelli come un rito sacro, noi il braciere, noi l'issopo,
il salmo delle stagioni ed anche la notte burrasca che squarcia le vele
(tavolozza cui nessun colore manca -eri tu il cavaliere in sella all'iride).
Forse ci siamo scritti sulla pelle tutte le parole di tutti gli idiomi,
scriptio continua di respiro e passi, baci, binari, distanze, spiagge,
stelle e lenzuola, tutte, e su tutte si è posato quel silenzio che non mente mai.





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